IL MATRIMONIO, UN PROGETTO DIVINO


 

«Da quasi quarant'anni - ha scritto San Josemaria Escrivà - predico il significato vocazionale del matrimonio. Quante volte ho visto illuminarsi il volto di tanti, uomini e donne, che credendo inconciliabili nella loro vita la dedizione a Dio e un amore umano nobile e puro, mi sentivano dire che il matrimonio è una strada divina sulla terra! Il matrimonio è fatto perché quelli che lo contraggono vi si santifichino e santifichino gli altri per mezzo di esso: perciò i coniugi hanno una grazia speciale, che viene conferita dal sacramento istituito da Gesù Cristo. (…) Gli sposi cristiani devono avere la consapevolezza di essere chiamati a santificarsi santificando, cioè ad essere apostoli; e che il loro primo apostolato si deve realizzare nella loro casa. Devono capire l'opera soprannaturale che è insita nella creazione di una famiglia, nell'educazione dei figli, nell'irradiazione cristiana della società. Dalla consapevolezza della propria missione dipende gran parte dell'efficacia e del successo della loro vita: la loro felicità» (Colloqui con mons. Escrivà de Balaguer, n. 91).
Dio stesso è l'autore del matrimonio e lo ha «dotato di molteplici valori e fini; tutti quanti di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e il destino eterno di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia, e di tutta la società umana» (Concilio Vaticano Il: Gaudium et spes, 48).
«La coppia coniugale forma una “intima comunità di vita e di amore… fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie”. “È stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48]. Gli sposi si donano definitivamente e totalmente l'uno all'altro. Non sono più due, ma ormai formano una carne sola. L'alleanza stipulata liberamente dai coniugi impone loro l'obbligo di conservarne l'unità e l'indissolubilità [Cf Codice di Diritto Canonico, 1056]. “L'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10, 9 ) [Cf Mt 19, 1-12; 1Cor 7, 10-11 ]».(CCC, n. 2364)
L'esame di questo tema pone in evidenza le limitazioni imposte dallo spazio, dato che non è possibile condensare la dottrina sul matrimonio in poche righe. Comunque, se dovessimo riassumere brevemente un argomento tanto ricco e complesso, potremmo dire che il matrimonio è una vocazione del tutto particolare perché viene vissuta in due, anche se ciascuno dei coniugi personalmente - non la coppia - si santifica o si separa da Dio. Nel matrimonio interviene la voce di Dio che chiama, e occorre dunque cercare di conoscere quali siano le esigenze di tale appello soprannaturale. Non è un cammino che si può percorrere a proprio piacimento, indipendentemente da Dio, ma piuttosto un modello al quale ci si deve ispirare in ogni azione.
All'interpellanza dei farisei sulla liceità riservata all’uomo di ripudiare la propria moglie, per qualsiasi motivo, Gesù risponde appellandosi al progetto originario di Dio sull'umanità: “In principio Dio creò l'uomo, maschio e femmina li creò... l'uomo non separi ciò che Dio ha unito”. La durezza del cuore umano, l'inaridimento della disponibilità ad amare, in definitiva l'egoismo eretto a sistema sta all'origine del rifiuto di tale progetto divino.
Dio ha creato “l’uomo” in coppia. Due persone che, nella bipolarità di mascolinità e femminilità, si richiamano vicendevolmente e si integrano. Di due si forma una nuova, unica, realtà: la coppia, tenuta unita dall'amore reciproco, aperta nell'amore alla trasmissione della vita; concreatrice della continuità della vita umana con Dio.
Si tratta dì un progetto di fronte al quale Dio stesso non ha trattenuto la propria compiacenza. Ne è rimasto incantato, come un artista di fronte alla sua opera d'arte... : “Dio vide ciò che aveva fatto. Ed ecco, era cosa molto buona”.
Progetto e realizzazione al superlativo assoluto. L'essere coppia, l'essere famiglia è la modalità del vivere umano al superlativo. In funzione di essa hanno senso lo stato, le leggi, l'economia, la scuola...
È una realtà da riscoprire continuamente nella sua identità, nel suo valore, nei suoi risvolti sociali; da valorizzare e da difendere ad ogni costo, poiché il suo stato di salute segnala, fondamentalmente, lo stato di salute di una società.
La coppia e la famiglia, come sono scaturite dal progetto di Dio, sono valori realizzabili, e non utopie, anche se gli attuali dati statistici ne indicano le quotazioni in ribasso.


ETICA E SPIRITUALITÀ DELLA FAMIGLIA

L'etica e la spiritualità della famiglia altro non sono che il sì, lieto e generoso come quello di Maria, della famiglia al progetto di Dio su di sé, nel tentativo di farlo proprio e di realizzarlo al massimo delle sue potenzialità.
Se Dio ha progettato la famiglia come scopo e vertice della creazione e della redenzione, che cosa è, per la famiglia, il progetto di Dio su di sé ?
La risposta passa attraverso la vita quotidiana relazionale della famiglia, nella sua dimensione etica e nella sua dimensione spirituale.
Per etica intendiamo l'atteggiamento di rispetto e di valorizzazione della realtà e dei suoi fini; nel caso specifico, rispetto e valorizzazione del progetto originario creazionale di Dio sulla coppia e sulla famiglia.
Per spiritualità intendiamo la sintonia con lo Spirito Santo, nel rispetto delle sue esigenze, cioè la docilità a lasciarsi guidare dall'azione dello Spirito Santo come artista e artefice primario della santità della coppia e della famiglia. La spiritualità risponde soprattutto al progetto ristrutturato in Cristo che ha fatto del matrimonio il sacramento della sua sponsalità con la Chiesa.
L'etica trova il suo compimento nella spiritualità. E la spiritualità presuppone la realizzazione dell'etica.

L'etica della coppia e della famiglia
È necessario rispettare e valorizzare al massimo quell'istituzione, giuridicamente riconosciuta, che unisce un uomo e una donna in alleanza di vita, costituendoli “coppia”, in vista del loro bene e della procreazione.
L'etica esige quindi il rispetto e la valorizzazione del coniuge come persona, nella quale trovare la realizzazione di sé e delle proprie potenzialità, e alla quale “subordinare” la propria persona e i propri interessi. Tutto il resto passa attraverso la sponsalità, che rimane punto di convergenza e di discernimento. Se qualche cosa la contrasta, va rimossa. Non è questione di gelosia nevrotica, ma di priorità di valore.
L'etica della coppia infatti risponde alla domanda: Chi sei tu per me e io chi sono per te? Sei la persona che rende possibile a me di essere me stesso: marito e padre, moglie e madre. Senza di te non lo sarei. Sei dunque per me la persona e la realtà più cara al mondo. lo ti ho scelto tra tutte le possibilità e ti ho ritenuto/a degno/a di me. Per te ho lasciato la mia famiglia di provenienza. E la mia famiglia di provenienza mi ha messo al mondo, mi ha amato e mi ha educato perché io fossi degno/a di te. D'ora in poi io non appartengo né alla mia famiglia d'origine, né a me stesso. Appartengo a te. Mente e cuore; corpo e anima. In Dio, non ho altro bene al di fuori di te. E lì trovo il motivo della mia gioia, nel donarmi.
La coppia infatti è costituita da due persone umane, come tali in assoluta relazione di reciprocità, dove l'io è e vive per il tu. Mettendosi insieme le due persone intendono costituire una nuova realtà, la coppia, in cui tutto diventa comune, comprese le risorse della mente, della volontà, della libertà.
Si scelgono liberamente e non per puro istinto di accoppiamento (come avviene per gli animali). Si scelgono perché si conoscono, nei pregi e nei limiti. E proprio perché si conoscono possono dire: “Io prendo te...”. E si scelgono perché si amano al punto da farsi dono reciproco della propria persona. Non basta pertanto dire: io ti voglio bene. Bisogna poter dire: io voglio il tuo bene, sempre e per sempre. Per questo, occorre “voler volersi bene” con responsabilità.
Di conseguenza, l'etica non equivale all'impegno di mettere insieme due aziende e di tenerle unite finché c'è convenienza reciproca. Esige che marito e moglie si riconoscano nella reciprocità di coppia, di essere inscindibile. Per cui nessun altro vincolo è più forte. Neppure i figli, benché “vengano dal cuore”, i genitori (genitori e suoceri, amati molto, vicino alla coppia, senza mai interferire!), la parentela, le amicizie, la professione. La tua nuova identità è: marito di..., moglie di... Ecco il motivo del tuo sano orgoglio. Prima di essere il signor avvocato, ingegnere, professore, dirigente, presidente..., sei il marito, la moglie di... Lo dici con fierezza, senza arrossirne. Dallo “stato di salute” della coppia dipende in gran parte lo stato di salute relazionale della famiglia intera.
Pertanto è etico il rapporto se è interpersonale; cioè se è improntato sul dialogo e non sull'opportunismo utilitaristico; se è rispettoso della persona, che solo in tal modo si sente valorizzata; se ne valorizza le doti di mente e di cuore, compiacendosene più che se fossero proprie; se considera la persona come valore assoluto, in qualunque condizione fisica o psichica e spirituale si venga a trovare; se con essa si stabilisce un rapporto di amicizia che apre alla confidenza e alla riservatezza. Almeno questo è ciò che si desidera dal coniuge. Per lo stesso motivo questo è ciò che tu sei chiamato a dare all'altro.
Ovviamente nel rapporto interpersonale di coppia un ruolo decisivo, qualificante, persino determinante, viene esercitato dalla valorizzazione del corpo. Entriamo così in un ambito assai delicato della relazione di coppia.
Anche il corpo infatti ha un proprio linguaggio espressivo. Ed è etico quando è conforme alla verità del suo essere. Cioè, se è capace di esprimere il senso, il valore e il significato di ciò che dice. Così ha senso la gestualità espressa dal darsi la mano, un bacio, un abbraccio...
«La sessualità è ordinata all'amore coniugale dell'uomo e della donna. Nel matrimonio l'intimità corporale degli sposi diventa un segno e un pegno della comunione spirituale. Tra i battezzati, i legami del matrimonio sono santificati dal sacramento».(CCC, n. 2360)
A maggior ragione, l'atto coniugale è gesto di altissimo valore umano e sacramentale, previsto da Dio nel suo progetto sulla sessualità umana, per il bene della coppia in quanto tale, dei singoli coniugi, della famiglia stessa. L’atto coniugale, degno di Dio e dell'uomo, in sé non ha nulla di sconveniente, di animalesco e di peccaminoso, a meno che non lo si snaturi. E lo si snatura quando lo si fa diventare espressione di un istinto spontaneistico da soddisfare, di un impulso erotico sessuale cui dare sfogo.
«“La sessualità, mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano solo se è parte integrante dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte”: [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 11] » (CCC, n. 2361)
Quel gesto ha intrinsecamente valore unitivo interpersonale: “Sono tuo; sono in te e tu sei in me; siamo l'uno nell'altro per essere e vivere l'uno per l'altro, per sempre nella fedeltà. I miei pensieri, i miei affetti, i miei sentimenti, il mio corpo... tutto è tuo, è per te”. Ne hanno bisogno gli sposi per sperimentare di essere un cuor solo, un'anima sola e “una carne sola”.
Perché questo valore unitivo fosse salvaguardato, Dio ha previsto nel suo progetto sulla coppia circa quattro quinti del ciclo mestruale della donna non fecondi. È il tempo della coniugalità, dell'intimità di coppia.
In esso il marito è chiamato ad esprimere verso la moglie, ancor prima di giungere all'atto coniugale, più attenzioni, sensibilità, affettuosità, tenerezza... per “riscaldare il cuore” della moglie, evitando tutto ciò che la può umiliare nella sensazione di essere puro strumento delle “esigenze” del marito. L'atto unitivo, infatti è per sua natura manifestazione di un forte desiderio di donazione di sé, che valorizza e sublima il coniuge, non un atto di egoismo che lo strumentalizza e umilia.
E la moglie è chiamata ad essere attivamente partecipe dell'intimità di coppia, che rinsalda i vincoli di coppia. È chiamata a lasciarsi conquistare dall'amore del marito, a concedersi attivamente, a far diventare l'unione coniugale un vero atto di amore, cioè di donazione della mente, del cuore e del corpo. A tale riguardo, così si esprime San Paolo: «Il marito renda alla moglie ciò che le è dovuto. Ugualmente anche la moglie al marito. La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito. Allo stesso modo, il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non privatevi l'uno dell'altro, se non di comune accordo, temporaneamente, per attendere alla preghiera. Poi tornate a stare insieme, perché Satana non vi tenti per la vostra incontinenza» (1 Cor 7, 3 - 5). La sintonia con il progetto di Dio non si attua dunque principalmente nell'astenersi dalla coniugalità (talvolta può tornare utile sul piano psicologico e sul piano spirituale; talora è anche doveroso per un marito quando la salute della moglie manifesta qualche incrinatura), ma nella sua valorizzazione. L'evitarlo a lungo espone soprattutto il marito a gravi pericoli. L'intimità di coppia, per essere vera, esige di non lasciarsi assorbire, mente e cuore, da altri fattori: dedizione ai figli... alla professione... Sarebbe una usurpazione. Nel suo progetto Dio vi ha connesso anche un senso di benessere, di appagamento di tutto l'essere del coniuge. Lo ha fatto però solo come conseguenza del valore unitivo, non come fine che rimane la reciproca appartenenza. La sola ricerca del piacere venereo insito nell'atto coniugale contraddice il senso e il valore dell'atto stesso che dice apertura assoluta, donazione totale di sé all'altro; e immette nella coppia il virus dell'egoismo utilitaristico.
Per questo non sono etici, in quanto contrari al progetto di Dio, gli atti coniugali che si identificano più con una masturbazione che con un atto di amore. A maggior ragione gli atti coniugali compiuti fuori del matrimonio. Oltretutto, l'infedeltà documenta che almeno in quel momento il coniuge ha perduto valore, è incapace di colmare le attese; può essere facilmente sostituibile. È l'umiliazione più bruciante!
Ovviamente non sono etici, in quanto non in sintonia con il progetto di Dio, i rapporti “prematrimoniali” anche compiuti con il futuro coniuge, perché contraddicono il senso unitivo. E meno ancora quelli ormai ostentati “ad ogni stagione” e con chiunque, in quanto denotano pura ricerca evasiva ed edonistica.
Si impone un forte senso di responsabilità nella formazione all'essere dono totale della propria persona al coniuge. È la vera scommessa con la vita e la più grossa fatica educativa, cominciando dalla necessità della purificazione del linguaggio, diffusamente licenzioso e volgare proprio su ciò che attiene alla coniugalità e continuando con la salvaguardia dalla pornografia imperante che è l'offesa più assurda nei confronti dell'intimità sacra della coppia.
L'atto coniugale ha, simultaneamente, valore procreativo; consente di operare in sinergia con Dio creatore.
«Mediante l'unione degli sposi si realizza il duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita. Non si possono disgiungere questi due significati o valori del matrimonio, senza alterare la vita spirituale della coppia e compromettere i beni del matrimonio e l'avvenire della famiglia. L'amore coniugale dell'uomo e della donna è così posto sotto la duplice esigenza della fedeltà e della fecondità». (CCC, n. 2363)
I coniugi sono concreatori con Dio di un essere irrepetibile. Dio, che nel suo progetto sul matrimonio ha previsto il carattere unitivo, lo ha fatto anche in vista di quello procreativo: amarsi a tal punto da sentire il bisogno di trasmettere la vita cui dare dedizione incondizionata di amore come coppia. E a tal fine ha previsto per la sposa “i giorni della gioia della sponsalità e della maternità”, nei quali alla donna sia possibile percepire e sperimentare le più forti emozioni, in vista di una maternità generosa, più forte di ogni resistenza razionalizzata e riduttiva.
«La fecondità è un dono, un fine del matrimonio; infatti l'amore coniugale tende per sua natura ad essere fecondo. Il figlio non viene ad aggiungersi dall'esterno al reciproco amore degli sposi; sboccia al cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento. Perciò la Chiesa, che “sta dalla parte della vita”, [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 30] “insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto per sé alla trasmissione della vita” [Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 11]. “Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della Chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” [Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 11]».(CCC, n. 2366)
Proprio per essere rispettosi del duplice e inscindibile significato, unitivo e procreativo, dell'atto coniugale, esso deve essere compiuto con piena intenzionalità procreativa nei periodi di fecondità della moglie, quando vi sono le condizioni perché avvenga la procreazione, (ecco l'importanza per la coppia di una chiara conoscenza dei metodi naturali, oggi alla portata di tutte le coppie che vogliono vivere il progetto di Dio con senso di responsabilità). Compiere l’atto coniugale in questi periodi ai soli fini unitivi contraddice la realtà. Se, per motivate ragioni, non si vogliono figli, si evita di avere rapporti che in quel momento smentirebbero l'essere coppia aperta alla trasmissione della vita. Certo, con sacrificio di entrambi, e in primo luogo della moglie. Ma anche tale sacrificio può venir sublimato, in vista di un maggior bene. Può infatti far crescere il senso dell'attesa e del desiderio, che risponde ad un atteggiamento sublime dal punto di vista dei valori umani. Aiuta, tra l'altro, a superare l'impazienza del “tutto, subito”, appena sorge il desiderio e scoppia l'istinto.
La capacità dell'attesa qualifica l'atto unitivo e lo rende immensamente e più intensamente umano e gratificante. Fiducia e capacità di attendere sono le basi di una coppia riuscita, a partire dal periodo del fidanzamento.
Proprio il rispetto del duplice significato dell'atto coniugale induce a comprendere che non è etico il ricorso ai metodi contraccettivi (pur con tutte le attenuanti soggettive a livello di colpevolezza).
Evidentemente aggiunge gravità a gravità il ricorso diretto all'aborto... Oggi si sta diffondendo sotto forma di pillola del giorno dopo, la pillola dell'irresponsabilità, che dichiara l'incapacità dell'uomo e della donna di comportamenti umani sessuali responsabili; ritenendo comunque che l'uomo e la donna, anche in età puberale, hanno il diritto di soddisfare con un partner gli istinti e gli “irrefrenabili” impulsi sessuali, spesso incentivati da una cultura mass-mediale che vi ricava ingenti profitti. In tal modo la sessualità viene finalizzata all'egoismo più abietto invece che all'altruismo. Purtroppo è in cantiere qualche altra pillola con effetti anche peggiori.
L'etica della coppia ispira quella conseguente della famiglia e particolarmente quella dei rapporti con i figli, che vengono educati al senso della riconoscenza, dei valori propri della famiglia, nel dialogo obbedienziale, in un dialogo cioè che sa mettersi in ascolto e fa evitare decisioni affrettate e sventate. Occorre pertanto, in primo luogo, amare il coniuge, riservando a lui il meglio di sé per tutta la vita; e, con lui, amare i figli, nella consapevolezza che i figli rimarranno sempre figli, ma non sono destinati a rimanere proprietà dei genitori; diventeranno “proprietà in esclusiva” di altri, del coniuge, come è avvenuto per i genitori.

La spiritualità della coppia e della famiglia
II matrimonio cristiano è sacramento. Sacramento della sponsalità tra Cristo e la sua Chiesa, come precisa S. Paolo: «Questo mistero è grande. Lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5, 32). Come a dire: quando il marito ama la moglie è Cristo che ama la sua Chiesa. E quando la moglie ama il marito è la Chiesa che ama Cristo. Gli sposi si scambiano tra loro lo stesso identico amore che scorre tra Cristo e la sua Chiesa. Attinge alla medesima sorgente. Per cui gli sposi possono dire di amare Cristo e la Chiesa solo se si amano reciprocamente. E sulla Chiesa universale si riverserà tanto più amore vero quanto più i coniugi sapranno amarsi di un amore simile a quello tra Cristo e la Chiesa. Un amore che è assoluta e incondizionata donazione.
Del resto, a renderli capaci di tale amore da essere sacramento della sponsalità tra Cristo e la sua Chiesa è lo Spirito Santo. Proprio mediante la celebrazione sacramentale lo Spirito Santo li unisce e ne fa, da due individui, una coppia; coppia sacramento, stabile e permanente; ponte per cui transita l'amore di Cristo e della Chiesa. Lo Spirito Santo infatti opera in conformità al suo compito trinitario, cioè unitivo e al suo compito nei confronti della creazione, quello trasformante. Lo Spirito trasforma due persone per unirle in coppia, nuova realtà, in assoluto, dal momento in cui lo Spirito li trasforma e li unisce, non un istante prima.
Da allora lo Spirito Santo diventa l'alleato primo e insuperabile della coppia e della famiglia, per sempre, da protagonista. Lo Spirito non viene meno, neppure nel tradimento. Sempre si fa carico della situazione di coppia e di famiglia. È Lui che fa in modo che tutto ciò che di positivo compie un membro della famiglia torni a vantaggio di ciascuno e di tutti. A questo punto, la spiritualità della famiglia coincide con la moralità: il lasciarsi guidare dallo Spirito, per non lasciarsi dominare dalle leggi della carne, ma, al contrario, per produrre i suoi frutti (Gal 5, 16-26); l'essere sempre più chiesa domestica nella realtà della chiesa universale, consapevole che solo nella preghiera assidua e nella vita sacramentale, in primo luogo l'Eucaristia e la Confessione, le è possibile la docilità allo Spirito e la dilatazione dei suoi spazi interiori alla sua azione di grazie.


LE RELAZIONI EXTRACONIUGALI

La fornicazione
Esiste un modo di mortificare il significato stesso dell'amore in quanto alleanza: avere delle relazioni sessuali al di fuori dell'alleanza coniugale e soprattutto senza la prospettiva di un'alleanza coniugale. Questo comportamento viene tecnicamente definito fornicazione.
«La fornicazione è l'unione carnale tra un uomo e una donna liberi, al di fuori del matrimonio. Essa è gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana naturalmente ordinata sia al bene degli sposi, sia alla generazione e all'educazione dei figli. Inoltre è un grave scandalo quando vi sia corruzione dei giovani». (CCC, n. 2353)

Sessualità senza impegno
Il giudizio della Sacra Scrittura, e cioè della Parola di Dio, sui rapporti sessuali fuori del matrimonio è di una severità incontestabile: «Infatti voi lo sapete: nessun fornicatore o depravato o avaro, cioè idolatra, ha parte nel regno di Cristo e di Dio» (Ef 5, 5).
Si può capire molto bene il perché di questa severità. Infatti, nella fornicazione, l'unione sessuale, invece di essere l'espressione del dono irreversibile di una persona all'altra, diventa soltanto lo sfogo della passione o della ricerca erotica del piacere.
La sessualità viene così dissociata dal significato autenticamente cristiano dell'amore e dalle esigenze che ne derivano: io prendo dall'altro l'occasione che mi viene offerta di godere momentaneamente di entrambi, senza però darmi veramente a lui, attraverso l'impegno radicale della mia libertà.
La fornicazione, sotto qualsiasi forma, è evidentemente in contrasto con la concezione cristiana dell'alleanza coniugale, ma, già sotto il profilo puramente umano, non rispetta la dignità della persona.
«Si ha una libera unione quando l'uomo e la donna rifiutano di dare una forma giuridica e pubblica a un legame che implica l'intimità sessuale. L'espressione è fallace: che senso può avere una unione in cui le persone non si impegnano l'una nei confronti dell'altra, e manifestano in tal modo una mancanza di fiducia nell'altro, in se stesso o nell'avvenire? L'espressione abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità a legarsi con impegni a lungo termine [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 81]. Tutte queste situazioni costituiscono un'offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l'idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà».(CCC, n. 2390)
Questo avviene in modo particolare nelle relazioni occasionali senza alcun futuro, ma anche nella convivenza senza l'intenzione di contrarre matrimonio e in quello che viene impropriamente chiamato matrimonio di prova.
«Parecchi attualmente reclamano una specie di “diritto alla prova” quando c'è intenzione di sposarsi. Qualunque sia la fermezza del proposito di coloro che si impegnano in rapporti sessuali prematuri, tali rapporti “non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna, e specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci” [Congr. Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 7]. […] L'amore umano non ammette la “prova”. Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 80]» (CCC, n 2391)
Nella convivenza, non accompagnata dall'intenzione di contrarre matrimonio, una persona trova certamente nell'altra la possibilità di soddisfare il suo bisogno di amare e di essere amata, il rimedio alla solitudine e una fonte di piacere.
Tuttavia non si può parlare di uno scambio completo e reciproco delle persone. Infatti questo viene minacciato all'origine dalla riserva implicita o esplicita che accompagna tutte le unioni libere: «Se non andremo d'accordo ci separeremo»; oppure «resteremo insieme, fino a quando durerà il nostro amore».
A queste condizioni, ognuno viene sottoposto dall'altro, consciamente o inconsciamente, a un ricatto privo di rispetto, che si può esprimere in questi termini: «Se non rispondi in tutto e per tutto alle mie aspettative, non rimango più con te».
In questo modo si corre il rischio di uno squilibrio permanente tra i conviventi, dovuto al fatto che, molto probabilmente, uno dei due si aspetta dall'altro più di quanto quest'ultimo sia disposto a dargli.
Il matrimonio di prova contraddice ancor più esplicitamente il rispetto dovuto alla persona: si può provare una macchina, ma non un essere umano.
Inoltre, questa supposta «sperimentazione» viene falsata e resa inefficace nel suo stesso fondamento perché ci sono dei problemi, così come delle soluzioni, che si prospettano solo all'interno di un'unione coniugale stabile. Un'intesa sessuale e affettiva, precedente al matrimonio, non costituisce una garanzia di armonia per il periodo successivo. Infatti solo molto più tardi, dopo diversi anni di vita comune e in piena armonia, può insorgere la minaccia di una degradazione dell'amore.
Al contrario può invece succedere che un accordo affettivo e sessuale, fragile all'inizio, si rafforzi all'interno del matrimonio, grazie alla maturazione dell'amore, che solo quest'ultimo avrà consentito.


Un segnale d'allarme: l'esclusione della prole
Un segno eloquente del fatto che le relazioni extraconiugali non rispettano la verità integrale dell'amore è la tendenza, logica e di principio, a escludere la prole, mentre l'apertura alla fecondità rappresenta una dimensione essenziale dell'amore, come abbiamo visto in precedenza. In caso contrario, qualora un bambino venga accettato, sia volontariamente che forzatamente, la sua stessa presenza imporrà il passaggio dall'unione provvisoria al vincolo irrevocabile, sempre che i conviventi vogliano accoglierlo in modo veramente umano.
A questo punto potresti obiettare: «Sono d'accordo sul fatto che manchi qualcosa d'essenziale alle relazioni sessuali al di fuori del matrimonio, ma quest'ultimo non contiene in se stesso la garanzia di successo per l'amore umano».
Sotto un certo aspetto hai completamente ragione. Il matrimonio da solo non assicura automaticamente la felicità coniugale.
Occorre che sia stato accuratamente preparato sulla base di un accordo sufficientemente profondo tra le persone e che, una volta concluso, gli sposi si abbandonino con tutta l'anima alla grazia legata al sacramento del matrimonio, mettendo in atto, di comune accordo, i mezzi necessari per viverlo con fedeltà (preghiera, Eucaristia, confessione, ecc.).


I RAPPORTI PREMATRIMONIALI
(tratto da: Gesù e il tuo corpo di A. Leonard)

Un caso particolare delle relazioni extraconiugali è rappresentato dai rapporti sessuali tra conviventi che hanno l'intenzione di sposarsi, o tra fidanzati che, per definizione, si preparano al matrimonio.
Ci troviamo evidentemente di fronte a una problematica molto diversa da quella suscitata dalle relazioni occasionali o dal matrimonio di prova. Siamo infatti in presenza di una ferma volontà di sposarsi che rende la situazione molto più complessa.
Tuttavia, se ci fermiamo al livello dei principi, non ci sono dubbi: il rapporto sessuale, sotto il profilo cristiano e umano, esprime il dono reciproco e totale delle persone e la loro disponibilità a una fecondità che le oltrepassa. Non si svolge quindi pienamente se non all'interno di una comunione di vita irrevocabile, a immagine, per te cristiano, del dono irrevocabile del Cristo alla Chiesa sulla Croce e nell'Eucaristia.
Tutto questo avviene soltanto nel matrimonio, attraverso il quale la promessa umana di fedeltà, scambiata tra uomo e donna, viene inclusa nella fedeltà indefettibile di Dio fatto uomo.
Per loro natura, le relazioni extraconiugali e anche quelle prematrimoniali non raggiungono la dimensione dell'amore cristiano, in quanto tendono ad esprimere, attraverso l'atto sessuale, una realtà coniugale in assoluto, che in effetti non esiste o, per lo meno, non ancora.
«I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla speranza di riceversi l'un l'altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell'amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità» (CCC, n. 2350).

A che serve questo formalismo?
A questo punto mi potresti dire: «Sono d'accordo sui princìpi, ma non sui fatti. Se siamo sinceramente intenzionati a sposarci, perché dovremmo aspettare il giorno del matrimonio per amarci sessualmente? A che serve questo formalismo?».
Si tratta di una questione delicata che cercherò di trattare nel modo dovuto. Prima di tutto devo riconoscere con te che l'istituzione matrimoniale e familiare è stata fortemente scossa dai cambiamenti del mondo moderno. Da cellula economica e sociale, qual era per la maggioranza nel passato, la famiglia si è trasformata, soprattutto in seguito all'industrializzazione di massa della nostra società, nel rifugio della vita privata e del calore umano contro l'anonimato della vita professionale e pubblica.
Da queste premesse deriva la diffidenza di molti giovani nei confronti dell'«istituzione», quando si tratta della loro vita personale: in effetti che cosa ci può essere di più personale dell'amore?
In questo contesto importa veramente poco che il nostro amore sia stato ratificato pubblicamente dall'autorità civile e religiosa: l'essenziale è che ci amiamo. Perché aspettare allora una qualsiasi «cerimonia» per darci l'uno all'altro?
Talvolta le obiezioni sono molto più prosaiche: «Saremmo ben disposti a sposarci e ne comprendiamo bene il significato, ma i nostri genitori non sono d'accordo fino a quando non abbiamo finito di studiare; inoltre, se ci sposiamo, avremmo molto da perdere sul piano finanziario...». Tutte queste riflessioni e altre analoghe hanno il loro peso; occorre passare tuttavia al nucleo della questione.
Per farmi ben capire, ricorrerò a un paragone, che non è senza difetti come tutti i paragoni, ma che risulterà illuminante.
Io sono sacerdote dal 19 luglio 1964. Ben prima di quel giorno, ho desiderato per anni di essere sacerdote ed ero più che deciso a diventarlo. Inoltre, negli ultimi anni della mia permanenza in seminario, avevo molto probabilmente raggiunto la formazione e la preparazione necessarie per esercitare convenientemente il mio ministero.
Tuttavia, soltanto il 19 luglio 1964 sono effettivamente diventato sacerdote attraverso l'imposizione delle mani del mio vescovo e ho potuto incominciare a celebrare la Messa, confessare, ecc. Se avessi voluto farlo la vigilia, sarebbe stata una truffa. Perché? Perché un sacramento, prima ancora di essere il traguardo delle mie più sincere aspirazioni, è un gesto che Cristo compie verso di me, attraverso l'intermediazione della Chiesa.
I1 19 luglio 1964 Cristo mi ha donato come sacerdote alla sua Chiesa: prima di quella data desideravo certamente essere prete, ma non lo ero ancora.
Nell'alleanza coniugale cristiana amarsi da cristiani non significa soltanto scegliersi reciprocamente, ma soprattutto comunicarsi a vicenda la presenza di Cristo. Se è vero che l'amore cristiano acquista il suo significato all'interno dell'amore di Cristo per la Chiesa, non ha certamente senso darci l'uno all'altra, se il Cristo non ci ha effettivamente legati per sempre nel sacramento del matrimonio. Prima di quel giorno ci siamo senz'altro promessi a vicenda, ma non siamo ancora stati offerti l'uno all'altra da uno più grande di noi e cioè da Gesù Cristo.
È pur vero che dei fidanzati, che si amino con sincerità e che siano intenzionati a sposarsi, commettono una colpa meno grave accettando di avere dei rapporti prematrimoniali, che non quei giovani i quali, attraverso la stessa esperienza, vorrebbero illusoriamente «verificare» la loro compatibilità fisica, prima ancora di impegnarsi in un amore più profondo.
Questo comportamento rimane tuttavia oggettivamente incoerente in quanto anticipa una pienezza che non è ancora realmente e definitivamente realizzata. Un chiaro segno del fatto che i rapporti prematrimoniali si svolgono in una situazione precaria è di nuovo rappresentato dall'esclusione sistematica della prole. Questo comportamento rivela in modo palese che, nei rapporti prematrimoniali, la sessualità è vissuta in un contesto che, per principio, la priva di una delle sue componenti essenziali.
Se siete cristiani, il Signore vi propone una follia piena di sapienza e cioè di rifiutare con coraggio e di comune accordo i rapporti sessuali prima del matrimonio. So di dire una follia perché, in un mondo che banalizza sistematicamente l'atto sessuale, rinunciarvi per amore di Gesù e per rispetto della santità del matrimonio, significa andare controcorrente ed essere pericolosamente anticonformisti.
Devo però aggiungere che si tratta di una follia piena di sapienza: rifiutando di contribuire alla svalutazione della sessualità, renderai una testimonianza che aiuterà molti altri a risalire la china.
In più sarai riuscito a preservare la dimensione spirituale del tuo amore, evitando di esprimerla prematuramente nella carne: l'unione sessuale nel matrimonio sarà infatti molto più ricca di significato spirituale e anche carnale, se, durante il periodo del fidanzamento, ne hai rispettato le tappe di crescita e di maturazione.
Il Signore benedirà infine in modo particolare la vostra unione se, per suo amore, non avete voluto concedervi fisicamente l'uno all'altra, se non dopo esservi comunicati con il suo corpo nell'Eucaristia, che ha suggellato il vostro matrimonio.