Capitolo 11
ALCUNE CRITICHE MODERATE MA INSUFFICIENTI

Nei confronti sia della società borghese opulenta che del marxismo rivoluzionario si sono manifestate alcune posizioni critiche che meritano la nostra considerazione. Esse, pur essendo più moderate, rimangono però all’interno dello schema progressista e quindi risultano inefficaci come tentare di sollevarsi tirandosi per i capelli.

Le tre posizioni sono lo scientismo «aperto» di Ugo Spirito, la critica alla società tecnologica della Scuola di Francoforte ed il revisionismo positivista del marxismo socialdemocratico. Infine pensiamo di concludere il paragrafo facendo riferimento ad alcune delle indicazioni critiche date dai nostri due autori per uscire dalla crisi presente.

 

11.1 “Il tramonto degli ideali tradizionali” di Ugo Spirito

Una posizione particolare, critica verso il marxismo e distinta dallo scientismo dogmatico, è quella di Ugo Spirito[1]. Del Noce, pur comprendendo alcune sue affermazioni e prendendo atto dell’estrema coerenza del suo discorso filosofico, ne contesta i risultati.

Esposta sinteticamente, la tesi di Spirito è che “la crisi del nostro tempo è caratterizzata dalla fine della fede nei valori tradizionali”[2], mentre c’è “un’attività che non è mai stata così intensa e così dominante in tutta la storia della civiltà: vale a dire l’attività scientifica e tecnica, che va trasformando il mondo con un ritmo rapidissimo in maniera sempre più organica”[3]. A seguito di mutamenti spaziali (facilità di comunicazioni e di trasporti in ambito continentale e mondiale) e temporali (istantaneità delle comunicazioni ed accelerazione del progresso), si assiste al sorgere di valori universali ed alla scomparsa dei valori particolari: i valori particolari che tramontano, per Spirito, sono la patria, la religione, la filosofia e l’ideologia politica, che sono caratterizzati tutti dalla pretesa di possedere una verità chiusa e circoscritta, mentre i valori universali che sorgono sono quelli scientifici, caratterizzati dall’apertura e dalla ricerca della verità[4].

“La crisi […] è dovuta al passaggio da una vita dominata da criteri e da valori non scientifici a un’altra informata da principi di carattere scientifico e tecnico”[5].

Secondo Spirito dunque la soluzione della crisi consiste nel “concepire la scienza in modo tale da non aver più bisogno di affiancarla ad altre forme di sapere. Se finora sembrava del tutto legittima la coesistenza di religione, ideologia politica e scienza, occorre ora convincersi che le tre forme di sapere sono reciprocamente inconciliabili e che […] non vi può essere altro criterio orientativo della conoscenza che quello della ricerca scientifica”[6].

Per Spirito, in questa “epoca nuova, caratterizzata dalla egemonia della scienza”, non si ha una progressiva sostituzione della scienza alla filosofia, bensì “una filosofia che è scienza e una scienza che è metafisica”[7]; non si tratta quindi di negare religione, filosofia o politica in nome della scienza, ma di assorbirle su un piano di universalità[8].

Solo con la rinuncia della religione al soprannaturale ad alla rivelazione è possibile fermarsi ad un ambito di aspirazione comune in una ricerca verso l’ignoto, ma questa prospettiva equivarrebbe a quella rivoluzione religiosa orizzontalista e gnostica verso la quale Del Noce metteva in guardia:

“Come adeguazione allo «spirito moderno», di cui riconoscerebbe l’irreversibilità del processo, la teologia della secolarizzazione significherebbe al limite la resa della religione alla scienza, considerata come l’unica forma di sapere veramente valida e capace di portare a un consenso generale”[9].

Oltre a questa debole concessione nei confronti di una religiosità solo naturale, Del Noce osserva che, nonostante la posizione di Spirito sia contraria al marxismo ed allo scientismo dogmatico, di fatto il suo ideale scientifico si trova bloccato dal successo di quest’ultimo tipo di scientismo, legato necessariamente alla dissoluzione del marxismo, attraverso il riduzionismo, di cui abbiamo già parlato[10].

Del resto le affermazioni di Spirito riguardanti il nuovo ordine[11], la nuova moralità[12] e le prospettive future della scienza[13] prestano il fianco ad una critica radicale, che mette a nudo la contraddizione tra l’esito finale e le buone intenzioni iniziali.

 Per Spirito la caduta degli ideali tradizionali è assunta come un fatto irrefutabile, non problematizzata, ma questo, per Del Noce, è valido solo all’interno dell’idealismo, dove questi valori sussistevano privati delle loro fondamenta[14].

Per Del Noce, Spirito dimentica la critica insuperabile che muove Nietzsche “all’altruismo, considerato nel suo aspetto di succedaneo laico della carità”[15]. Del Noce fa propria anche la critica di Horkheimer, in Eclisse della ragione, che considera la scienza nella sua concezione meramente strumentale, come mezzo per dominare gli uomini e la natura[16]; l’amore e la concordia vagheggiati da Spirito si riducono all’accettazione di una situazione di fatto[17], nella quale l’umanità è divisa da interessi politico-sociali opposti ed è governata da politici, non da uomini di scienza[18].

“La scienza, o almeno la scienza moderna, ha considerato la realtà come  un sistema di forze […] E, del resto, che altro promette la scienza se non poteri imprevedibili e sopraumani? C’è poi da stupirsi se un mondo in cui rimanga la sola dimensione scientifica abbia, come segno pratico esteriore della sua mentalità, l’estrema accentuazione della lotta per il potere, di individui e di gruppi, dal momento che ogni idea non può esser pensata se non come strumento di affermazione pratica?”[19].

Anche in riferimento alla superiore «moralità della scienza» che non deve giudicare secondo il bene o il male, per poi condannare, ma comprendere l’uomo per adeguarlo all’armonia dell’organismo sociale, Del Noce mette in evidenza che questa «comprensione» è fatta a scapito di un bene molto superiore.

“Non so più dove, Scheler ha scritto che la frase: «Comprendere è perdonare» dovrebbe essere completata con l’aggiunta «e disprezzare». Il puro comprendere può significare la reificazione dell’altro; disconoscere in lui il principio di iniziativa e di libertà, per ridurlo a mera espressione del corpo sociale”[20].

Infine, Spirito critica il modello delle democrazie occidentali, che si fondano su un concetto di rappresentanza da lui definito come un istituto “composto da incompetenti scelti da incompetenti”, e giudica la contestazione come “sorgere di nuove esigenze”, lodando “l’autogestione dei centri produttivi con la partecipazione di tutte le componenti” e le “assemblee come mezzo di discussione e di maturazione dei problemi”; anche se riconosce che l’atteggiamento è prevalentemente deplorevole, negativo e distruttore, lo ritiene “non del tutto sterile”, se visto in funzione di preparare “un futuro di liberazione progressiva” da una tradizione conformista[21]. Riguardo perciò alla sua ipotesi di un governo mondiale guidato da grandi scienziati e tecnici[22], Del Noce pensa che probabilmente questo si risolverebbe in una mostruosa macchina nella quale l’unico compito di tutti gli altri sarebbe solamente quello di servire senza scampo, “per la potenza senza pari che sarà concentrata in poche mani, quelle dei custodi della religione tecnologica”[23].

In conclusione, secondo Del Noce, “non è stata affatto la scienza, per sé, a mettere in crisi definitiva lo spirito tradizionale”, ma, al contrario, l’eclissi dei valori tradizionali è stata originata dal mito millenarista negativistico, secondo il processo che abbiamo descritto nei capitoli precedenti.

“[All’uomo] nulla gli è consegnato («tradizione», da tradere), nulla ha da consegnare, e deve soltanto prender posto in un processo irreversibile, in cui il salto di qualità viene sostituito e falsificato dall’accelerazione del movimento […] ne consegue il divertissement elevato a principio nel processo di liberazione dell’uomo, attraverso la continua novità come liberazione dalla noia, novità che non impegna perché ha per contenuto la semplice negazione […] Di qui, l’enorme importanza che assume nella società presente lo spettacolo[24].

Si tratta dell’ultima forma assunta da un mito che vuole separare l’uomo dal passato e protenderlo verso un futuro di novità, senza bisogno di alcuno sforzo di cambiamento interiore, ma contando solo sulla promessa di una salvezza ottenuta attraverso la tecnica scientifica.

 

11.2 La Scuola di Francoforte

Secondo Del Noce, il pensiero della Scuola di Francoforte, nonostante le differenze di posizioni all’interno di essa, a motivo della non esplicita apertura alla trascendenza, non può essere considerato come un primo passo verso il ritrovamento degli ideali tradizionali, mentre certamente “rappresenta la disgregazione del marxismo teorico”[25], specialmente nel pensiero di Marcuse.

Se è vero che i pensatori francofortesi criticano la società tecnologica, cadono però nell’equivoco di considerare come fasi dello stesso processo sia il platonismo, e più in generale lo spirito tradizionale, che l’idea moderna del dominio scientifico-tecnico sulla natura. In tal modo tradizione e società tecnocratica, pur essendo due opposti, vengono assimilati senza mediazione dalla contestazione giovanile degli anni settanta[26].

In estrema sintesi possiamo dire che la critica francofortese all’illuminismo non è una critica dell’illuminismo storico, ma una critica del pensiero tradizionale nel quale include l’illuminismo (accusato di mantenere un residuo metafisico-religioso). Essa, accettando tutte le critiche pronunziate contro il pensiero tradizionale dal marxismo teorico, si appropria anche delle critiche del pensiero controrivoluzionario e quindi combatte l’illuminismo in quanto «dominio» del «positivismo»[27].

L’illuminismo, contro la tradizione, si appellava ad una natura idealizzata, mentre i controrivoluzionari combattevano contro l’astrattezza di una natura che non c’è in nome di un passato concreto; ora, il marxismo dava ragione ai controrivoluzionari nel combattere l’astrattezza, ma dava loro torto per l’appello al passato: la «rivoluzione nel senso della storia» doveva combattere l’astrattezza metafisica in nome del futuro e non del passato. Il risultato però è una rivoluzione solo negativa che diventa mera distruzione, non passando mai a realizzare alcun «ordine nuovo»[28].

Del Noce quindi, pur coincidendo con la Scuola  di Francoforte nell’affermare che la società occidentale manifesta lo spirito borghese allo stato puro, materialista e positivista, rinfaccia ai pensatori tedeschi un volontario rifiuto della trascendenza, senza la quale la loro critica rimane sterile e negativa[29].

“Lo stesso stile di Adorno, esoterico, criptico, allusivo e non predicativo, «in cifra», […] è richiesto espressamente dalla filosofia adorniana come pensiero negativo, vale a dire da quanto di più lontano dal pensiero teologico si possa immaginare”[30].

Anche Samek Lodovici, se da una parte loda Adorno per la sua capacità argomentativa, dall’altra critica “il carattere parassitario del suo metodo”[31], la cui forza «sta nel non concedersi mai punto di vista, nello sfruttare bensì quello dell’avversario»[32]. Samek Lodovici riassume, condividendole, le critiche di Adorno all’illuminismo:

“L’illuminismo ha affermato la libertà politica da ogni autorità spirituale, finendo per favorire il potere dell’uomo sull’uomo; ha affermato la libertà del corpo dall’anima, per considerarlo mero strumento di lavoro e di affermazione del proprio dominio; ha affermato la libertà economica dal legame delle antiche corporazioni, per rendere schiavi della proprietà; ha affermato la libertà dell’amore dalla morale, per vanificarlo nel sesso (l’amore è diventato un rapporto di scambio); ha affermato di lottare contro ogni religione in quanto superstizione, per prepararne una più esiziale, quella della scienza o del successo”[33].

Ma ciò che Samek Lodovici rimprovera ad Adorno è la sua estensione delle caratteristiche dell’illuminismo al mito ed alla religione, interpretando la preghiera ed il sacrificio secondo una logica di scambio. Adorno, eliminando arbitrariamente il peccato e la colpa, rende il sacrificio un puro simbolo di potere; ma “spezzato il circolo peccato-colpa-sacrificio, all’uomo non rimane che espiare la sua condizione [di sofferenza], senza significato”[34].

Adorno pensa che, eliminati i riferimenti alla trascendenza, “l’accentuazione dell’elemento di naturalità nell’umano verrebbe a coincidere con il massimo di filantropia tra gli uomini”.

“In realtà le cose vanno esattamente in senso contrario a quello indicato da Adorno perché anche in De Sade vi è esaltazione della natura, ma senza alcun esito filantropico”[35].

L’esaltazione della natura che consegue al rifiuto di Dio, porta a considerare il mondo come un campo per la propria realizzazione in vista della quale gli altri uomini possono esser visti come semplici ostacoli; risulta allora sterile vagheggiare un giorno in cui l’uomo possa godere della natura senza conflitti.

“A voler essere radicali, non c’è che un’alternativa: o la natura è un dato materiale, e allora ad Adorno non rimane più il diritto di elevare una protesta contro De Sade e la dialettica dell’illuminismo che a furia di voler dominare la natura ci consegnano come uomini alla dominazione pura, e così Adorno perde il diritto di opporsi al totalitarismo che è il risultato del soggiogamento della natura; oppure accetta che essa sia speculare di una realtà più profonda, partecipazione e manifestazione dell’Essere […] Solo un esito religioso avrebbe potuto sbloccare la sua dialettica, che qui veramente assume la figura orientale del serpente che si morde la coda”[36].

 

11.3 Il revisionismo marxista

Per illustrare la posizione moderata di certo positivismo che però non vuole rinunciare a Marx, pensiamo che siano molto appropriate le seguenti affermazioni di Pellicani:

“A ben guardare, proprio nella teoria sociologica di Marx si possono trovare gli elementi essenziali per giudicare illusorio e persino insensato l’esperimento bolscevico. Tale teoria sociologica, una volta che sia stata depurata dalla fraseologia rivoluzionaria, insegna che la storia è dominata dal principio di continuità, che progressive non sono le rivoluzioni violente, bensì la scienza, la tecnologia, l’industria e il mercato mondiale, che l’umanità può affrontare con successo solo quei problemi che le condizioni materiali rendono solubili; insomma che la storia non procede per rotture e rovesciamenti, bensì per incrementi cumulativi”[37].

Pellicani analizza il caso della rivoluzione francese e, dopo averne mostrato gli esiti catastrofici e drammatici sul piano sociale e politico – anarchia, terrore, violazione dei diritti, ecc…  –, conclude:

“Certo, a rigore, nessuno volle l’«impazzimento» della rivoluzione: esso si compì in modo spontaneo, attraverso una serie di azioni e reazioni non programmate, le cui conseguenze non potevano essere percepite dai protagonisti, i quali furono tutti, in un qualche modo, vittime delle circostanze. Sicché non ha molto senso instaurare contro di essi un tribunale speciale per accertar le loro colpe. Questo comunque non può essere il compito della storiografia e della sociologia. Ciò che alla storiografia e alla sociologia dobbiamo chiedere è una lettura non mitologica dei fenomeni rivoluzionari, una lettura che liberi quegli eventi dalle incrostazioni ideologiche che su di essi si sono depositate e che impediscono di vedere ciò che essi furono effettivamente: più manifestazioni convulse della crisi generale connessa all’espansione del modo di produzione capitalistico che risoluzioni della medesima. E, per quanto la cosa possa suonare paradossale, proprio il marxismo – cui, per altro, si deve la legittimazione «scientifica» del mito della rottura rivoluzionaria – è la teoria sociologica che, nella misura in cui attira la nostra attenzione sul ruolo determinante dello sviluppo delle forze produttive, meglio ci aiuta a capire questo”[38].

Queste considerazioni, che certamente negli anni settanta sarebbero state giudicate eretiche e tacciate di revisionismo, al giorno d’oggi sono diventate, se non dominanti, almeno molto diffuse nella cultura che continua a definirsi progressista.

In realtà, da un punto di vista strettamente filosofico, abbiamo già visto come Del Noce le consideri responsabili della dissoluzione del marxismo stesso nella forma di separazione e sviluppo del materialismo storico, con il conseguente  abbandono della dialettica.

Anche Vittorio Mathieu, nella stessa epoca di Del Noce, ne aveva messo in luce il carattere corrosivo: “Da che cosa nasce il revisionismo? dalla consuetudine di pensare i problemi in termini tecnico-scientifici, e dal credere che questo basti a dare alla prassi una vera efficacia. Il modo di pensare tecnico-scientifico, anziché assoggettarsi come strumento, pretende di giudicare perfino la validità di quella Scienza in senso forte che dovrebbe adoperarlo: di classificarne alcuni contenuti come miti, utili a tutta prima per scopi psicologici, ma poi non più indispensabili, per chi abbia raggiunto il punto di vista positivo. Il revisionismo, insomma, è la componente positivistica che riemerge, autonoma, dall’interno della sintesi marxiana, e la corrode”[39].

Per Mathieu, i vari tentativi di riscoprire un Marx genuino, privo di incrostazioni dialettiche, sono comunque segno di una crisi di quel movimento storico che, nato da un certo impulso, tende in ogni caso a rivelarne la natura, molto più che a falsarla. Per questo, il revisionismo era semplicemente il sintomo di una malattia che il marxismo già portava in sé: lo storicismo ha fatto della dialettica una fase della storia; caduta la dialettica, si perde la scienza come momento del processo rivoluzionario. “Il rifiuto della dialettica […] finisce con lo svuotare di forza rivoluzionaria il movimento, col «mondanizzarlo» […], conservando il pretesto rivoluzionario come uno strumento di potenza, in luogo di utilizzare la potenza come strumento di rivoluzione”[40].

Ma questo esito, l’abbiamo già visto, non ha significato il trionfo di una società più giusta, bensì l’ascesa di una borghesia materialista allo stato puro e, da un punto di vista politico, Del Noce faceva riflettere sulla concomitanza tra l’ascesa della socialdemocrazia e il diffondersi della società permissiva nei paesi scandinavi, in Inghilterra ed in Germania.

Del Noce suppone che la relazione sia dovuta alla compresenza nella socialdemocrazia del positivismo scientista con la forma moralistica kantiana. Ora, questa morale autonoma, priva di fondamenti metafisici, non poteva che declinare e quindi il positivismo ad essa associato non poteva che favorire il diffondersi del permissivismo[41].

 

11.4 Prospettive di uscita dalla gnosi

Dopo tutte le considerazioni fatte, possiamo riprendere il "filo rosso" che  lega l’evolversi della nuova gnosi mettendo a fuoco, in un'ultima prospettiva, il profilo psicologico dello gnostico moderno[42]. Questo è caratterizzato da un rifiuto a riconoscersi parte di un disegno e di un ordine ricevuti come dono, per esaltare se stesso come creatore di un proprio mondo completamente dominabile: un'autoesaltazione che può assumere forme anche molto spirituali, ma che per continuare ad affermarsi deve ricorrere prima o poi alla menzogna e all'inganno[43]. Crediamo di essere giunti al nucleo del problema, dramma della condizione umana: il non serviam rivolto al disegno di Dio, che si ripete nella storia, perché l'uomo stesso vuol farsi sicut Deus.

La forma moderna che ha assunto questa ribellione si esprime nella chiusura immanentista, disconoscendo una realtà oggettiva ordinata alla quale sottomettersi e non tollerando che altri ritengano di farlo: chi dovesse farlo è proprio accusato di intolleranza! Inoltre, chi si definisce moderno è, per principio, nuovo e quindi non ammetterà mai alcuna relazione con il passato, da qui il rifiuto ad essere paragonato con gli gnostici antichi.

Dietro allo scontro apparente tra destra e sinistra, capitalismo e socialismo, dittatura e democrazia, rigorismo e permissivismo, scientismo ed ecologismo si cela in realtà lo scontro più fondamentale tra la gnosi moderna, di cui tutte le forme sopra menzionate possono essere espressione, ed una visione umile e contemplativa della realtà, aperta al mondo ed alla vita come dono gratuito di Dio[44].

"Solo una cultura che afferma il carattere prima di tutto gratuito del mondo, del valore che esso è in sé, solo per il fatto che c'è, indipendentemente da ogni possibile fruizione, solo quella cultura può aiutare l'uomo a liberarsi dalla schiavitù delle cose, dalla servitù di fare o intrattenere solo rapporti utili, di costruire solo cose che un giorno potranno servire"[45]

Accanto alla riscoperta della realtà come dono, Samek Lodovici faceva anche riflettere su un’altra distorsione radical-illuminista: la pretesa di considerare la felicità come un diritto che l’individuo si senta in obbligo di esigere alla società[46].

Dopo aver notato che in molti ambiti la formulazione del diritto (al lavoro, all’istruzione, alla salute, ecc…) è passata progressivamente a significare una prestazione dovuta da esigere passivamente, più che un’attività propositiva che non deve essere ostacolata arbitrariamente, Samek Lodovici evidenzia come invece per Aristotele, la felicità era conseguenza di una conquista fatta attraverso l’impegno della virtù ed infatti Aristotele distingueva la semplice fortuna dalla felicità (essendo la prima dovuta a motivi diversi dalla virtù).

“Come si vede in questa prospettiva la risposta che Aristotele dà al problema tutto moderno del «diritto alla felicità» è una sola: diritto alla felicità può solo significare diritto che io esigo da me stesso, diritto la cui soddisfazione dipende tutta da me e cha da me solo può cominciare […] La nozione attiva del diritto come diritto a fare, diritto a darsi, nozione oscurata dall’accezione passivistica nata con l’illuminismo, torna a farsi luce e con essa si fa strada un primo grande apporto al superamento della crisi della cultura radical-borghese”[47].

Altri due aspetti che lo stesso Aristotele considera sono, il primo, che la felicità è conseguenza di uno sforzo personale ed il secondo, che gli uomini possono essere felici solo in modo imperfetto, così «come possono esserlo gli uomini»[48]. Questo apre un’ultima prospettiva, già evidenziata da San Tommaso: la felicità umana è imperfetta, non perché non raggiunta, ma perché, pur raggiunta, non appaga pienamente e questo è un indizio che la felicità conforme al livello spirituale dell’uomo è un’altra, che la felicità ultima dell’uomo non appartiene a questa vita[49].

 Per Del Noce, dall’autoconfutazione dell’ateismo positivo emerge intatto lo «spirito tradizionale». È innegabile che nel mondo attuale ci sia un’eclissi e che l’eclissi sia destinata a durare, ma per condurre un’analisi rigorosa della situazione morale contemporanea, sono inadeguate le categorie marxiste e sociologiche, e bisogna ricorrere a quelle religiose.

Un certo cristianesimo progressista intende in senso metaforico la frase della Genesi su «l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio», “così che la fraternità dei figli di Dio sarebbe una metafora significante un amore semplicemente umano”[50]. Del Noce ricorda invece la “stupenda frase di Kierkegaard: «il genere umano ha la proprietà, perché ogni singolo è fatto a somiglianza di Dio, che il singolo è più alto del genere»”[51]: è la somiglianza con Dio, con il riconoscimento dell’unicità di ogni persona,  il fondamento della fraternità umana, e non viceversa.

Il compito del cristiano è quello di testimoniare questa convinzione e non quello di ridurre la propria fede a categorie che escludono la trascendenza. Un malinteso spirito di adeguamento al mondo ha generato invece un equivoco fatale.

“Per ora [la Chiesa cattolica] appare ancora prigioniera di una frase, l’«ascolto del mondo», che può avere un significato giusto, ma che generalmente è intesa nel senso di commisurazione all’uomo moderno […] La prima condizione perché l’eclissi abbia termine è che la Chiesa riprenda la sua funzione che non è di adeguarsi al mondo, ma di contestarlo”[52]



[1] Nato ad Arezzo nel 1896, Ugo Spirito è morto a Roma nel 1979, dove insegnava da molti anni filosofia teoretica. Dopo aver aderito assai giovane all'attualismo gentiliano, di cui fu uno dei più brillanti interpreti, se ne distaccò gradualmente negli anni '30, pur senza rinnegarne alcuni principi di fondo. Le sue opere principali, Scienza e filosofia (1933), La vita come ricerca (1937),  La vita come arte (1941), Il problematicismo (1948), La vita come amore (1953), Significato del nostro tempo (1955), Inizio di una nuova epoca (1961), Nuovo umanesimo (1964), Dal mito alla scienza (1966), offrono la testimonianza di un pensiero sempre assai vivace e aperto.

[2] U. Spirito – A. Del Noce, Tramonto…, cit., pag. 15. Il libro si compone di due saggi di cui il primo, Ideali che tramontano e ideali che sorgono, pagg. 15-58, è scritto da Ugo Spirito; il secondo, con lo stesso titolo del libro, pagg. 59-294, è scritto da Augusto Del Noce.

[3] U. Spirito, Ideali…, cit., pag. 38.

[4] Cfr. ibid., pagg. 17-27.

[5] Ibid., pag. 39.

[6] Ibid., pag. 40.

[7] Cfr. A. Del Noce, Tramonto…, cit., pagg. 62-65.

[8] Cfr. ibid., pag. 71. Lo stesso Spirito vedeva già avviata l’unificazione di scienza e religione: “Il processo di demitizzazione si accentua di giorno in giorno e l’interpretazione storicistica dei testi sacri contribuisce a determinare un ecumenismo religioso in cui finiscono col convenire individui e popoli delle più diverse fedi. Ormai è divenuto quasi generale l’abito mentale di chi si rifiuta di mantener fede alla massima parte delle convinzioni estrinseche tradizionali, per affermare semplicemente una vaga coscienza del soprannaturale come problema più che come soluzione. E, in questo, fede e scienza non soltanto non si escludono, ma si incontrano esplicitamente in funzione di una comune ricerca verso l’ignoto” (U. Spirito, Ideali…, cit., pag. 22).

[9] A. Del Noce, Tramonto…, cit.,  pag. 85.

[10] Cfr. Ibid., pag. 245.

[11] “Quando l’uomo ha cominciato a diventare oggetto di scienza e sono sorte la psicologia sperimentale, l’antropologia e la sociologia criminale, la psicanalisi e tutte le altre scienze umane, si è venuto a poco a poco dimostrando che l’individuo è espressione di una realtà che in esso si incontra e si concreta […] E come ogni sua manifestazione fisica si spiega in funzione della realtà fisica di cui è parte, così ogni sua attività psichica è espressione della realtà sociale che la rende possibile, e non può essere compresa e giudicata fuori di tale realtà. Il che implica necessariamente che mutano in modo essenziale così il concetto di libertà come quello di responsabilità” (U. Spirito, Ideali…, cit., pag. 48).

[12] “La scienza in generale e quella storica in particolare sono giunte a chiarire in modo inconfutabile l’interdipendenza di tutti i fenomeni storici e la loro riduzione a un’essenziale unità organica di cui sono necessaria espressione. La nuova morale scientifica dà luogo, in tal modo, a una nuova concezione della storia come scienza, per cui esulano dal giudizio storico tutti i giudizi di valore per cedere il posto ai soli giudizi di fatto” (Ibid., pag. 51).
“Fine della morale scientifica, quindi, diventa quello di collaborare con ogni individuo operando nella sua realtà fisica e psichica, fino a condurlo all’altezza dell’ideale sociale raggiunto a volta a volta dal processo della scienza” (Ibid., pag. 52).

[13] “Gli studi di genetica e di embriologia sono già giunti a risultati tali da autorizzare la previsione della possibilità di modificare essenzialmente la vita umana così nella sua dimensione fisica come in quella psichica […] Il mito del superuomo può diventare una realtà effettiva, con conseguenze inimmaginabili […] Se volessimo tradurre l’ideale della scienza in un concetto ben definito potremmo dire che il massimo valore al quale si tende è quello della inventività creatrice in cui si raccoglie lo sforzo delle nuove generazioni, tutte protese in un’opera collettiva, diretta verso l’ignoto e sostenuta dalla volontà di ricercare quell’assoluto, che l’umanità non è riuscita ad attingere attraverso le religioni, le filosofie e le ideologie (Ibid., pagg. 56-58)”.

[14] Cfr. A. Del Noce, Tramonto…, cit., pag. 87.

[15] Ibid., pag. 99.

[16] Cfr. ibid., pag. 103.

[17] “[Secondo Spirito] bisogna espungere il giudizio di valore, come giudizio di parte; o elevare il giudizio di fatto a giudizio di valore; visto nella luce della totalità ogni fenomeno è razionale e divino. Quel che chiamiamo male o negativo si trasfigura, nella comprensione, in bene e in positivo […] Ma da questa filosofia della giustificazione universale, come si può passare a una filosofia dell’azione, rivolta a cambiare il mondo?” (Ibid., pag. 257).

[18] Cfr. ibid., pag. 110.

[19] Ibid., pag. 101.

[20] Ibid., pag. 258.

[21] Cfr. U. Spirito, Ideali…, cit., pagg. 31-35.

[22] “Si tratta di concepire il potere in modo che ognuno lo eserciti effettivamente attraverso un istituto che determini il suo posto nell’organismo sociale. L’istituto che risponde a tale finalità è quello del piano, concepito come piano risultante dai piani di tutti i centri produttivi: Ogni centro produttivo formula il suo programma con la partecipazione di tutti i suoi componenti, sì che ognuno collabora in forza della propria capacità e specializzazione all’opera comune. Con il principio dell’autogestione dei centri produttivi si instaura il nuovo regime sociale, che rifiuta ogni residuo del potere ideologico-politico, e fa proprio il frutto migliore della rivoluzione scientifica” (Ibid., pag. 47).

[23] Cfr. A. Del Noce, Tramonto…, cit., pag. 259.

[24] Ibid., pagg. 208-209.

[25] Ibid., pag. 122.

[26] Cfr. A. Del Noce, L’epoca…, cit.,  pagg. 116-117.

[27] A. Del Noce, Tramonto…, cit., pagg. 124-125.

[28] Ibid., pagg. 126-127.

[29] Cfr. ibid., pagg. 130-131.

[30] Ibid., pag. 122.

[31] E. Samek Lodovici, Metamorfosi…, cit., pag. 176.

[32] E. Zolla, Adorno tra metacritica e metafisica, in Elsinore, aprile 1964, pag. 45.

[33] E. Samek Lodovici, Metamorfosi…, cit., pag. 179.

[34] Cfr. ibid., pagg. 180-181.

[35] Ibid., pag. 184.

[36] Ibid., pagg. 185-186.

[37] L. Pellicani, Rivoluzione…, cit., pag. 164.

[38] Ibid., pagg 165-166.

[39] V. Mathieu, La speranza…, cit., pag. 183.

[40] Cfr. ibid., pagg. 186-187.

[41] Cfr. A. Del Noce, L’erotismo…, cit., pagg. 35-36.

[42] Cfr. E. Voegelin, Il mito del mondo nuovo, cit., pagg. 74-83.

[43] Una descrizione psicologica di questa ostinazione si può trovare in S. Kierkegaard, La malattia mortale, Tascabili Economici Newton, Roma 1995, pagg. 54-59.

[44] Riguardo alla conflittualità apparente tra Fascismo e Comunismo, Idealismo e Materialismo, Liberalismo e Socialismo e la loro riduzione all'unità di senso nel «prassismo», Sergio Cotta commenta: "Entro il dominio della prassi, e non fuori di essa, le coppie tornano ad essere antagoniste, ma al modo di figli che si combattono per strapparsi il patrimonio del padre, di cui condividono la natura, nella quale è immanente la ragion d'essere del loro conflitto. [...] Fuor di metafora occorre ripristinare la principalità della verità su quella della prassi" (S. Cotta, Dal primato della prassi all'anomia. Una interpretazione filosofica della crisi odierna, cit., pag. 46).

[45] E. Samek Lodovici, Metamorfosi…, cit., pag. 248.

[46] Cfr. E. Samek Lodovici, La felicità e la crisi della cultura radical-illuministica, in AA. VV., La crisi della coscienza politica contemporanea e il pensiero personalista, Atti del Seminario Internazionale di Studi di Montebelluna, a cura di G. Pietrobelli e C. Rossitto, Libreria Editrice Gregoriana, Padova 1980, pagg. 27-38.

[47] Ibid., pag. 35.

[48] Cfr. ibid., pag. 36.

[49] Cfr. ibid., pagg. 37-38.

[50] A. Del Noce, Violenza…, cit., pag. 215.

[51] Ibid., pag. 215. Del Noce, come in altri casi, non cita la fonte precisa da cui ha tratto la frase, comunque si possono trovare frasi molto simili in: S. Kierkegaard, La malattia mortale, cit., pag. 88, nota 14 e S. Kierkegaard, Diario XI1 A485, Diario 1854-1855, Vol. 11, a cura di C. Fabro, Morcelliana, Brescia 1982, pag.86.

[52] A. Del Noce, Tramonto…, cit., pag. 266.